La gestione del territorio è sempre stato uno dei temi di maggiore dibattito e scontro politico, perché la regolamentazione e le decisioni che si adottano hanno un impatto cruciale non solo sugli aspetti economici e sugli interessi di persone e gruppi, ma anche sulle scelte politiche e ambientali, sulla sostenibilità a medio e lungo periodo nonché sulla partecipazione, il coinvolgimento e il controllo da parte degli organi istituzionali e dei singoli cittadini.
Il progetto di legge (PdL) “Disciplina regionale sulla tutela e l’uso del suolo” approvata dalla Giunta Regionale si espone a domande culturali e strategiche che vanno ben oltre il suo stesso testo.
Dopo le enunciazioni roboanti, “zero consumo di suolo” e “rigenerazione urbana”, temi cari a chi da anni si occupa di sostenibilità ambientale, sicurezza sismica ed efficienza energetica degli edifici, finisco la prima lettura frastornato: il senso di parole non è piú quello a cui ero abituato.
Ripeto la lettura: il linguaggio allude ma la concatenazione mi fa “scivolare” da un’altra parte, i concetti si rincorrono su un “piano inclinato” verso la riduzione del ruolo dei Comuni nel governo urbanistico del proprio territorio mentre cresce specularmente il ruolo del “privato”, sempre piú dominante.
I Comuni dovranno “contrattare” ma sulla base della proposta dei privati e con l’obbligo di rispondere e rapidamente, anche di fronte a proposte complesse e pesanti per l’ambiente e il territorio. Inoltre, ai costruttori saranno regalati incentivi, premi edificatori e riduzioni di oneri che, penso, sarebbero utili per ridurre i costi o gli affitti degli alloggi invece che “premiare la rendita immobiliare.
Questo PdL toglie ai Comuni il potere di scegliere con il Piano Urbanistico Generale (PGU) le aree e gli ambiti urbanistici su cui intervenire e di definire gli obiettivi di qualità territoriali, gli indici edificatori, i limiti e le tutele in rapporto con il contesto urbanistico/ambientale o per la mobilità sostenibile.
Inoltre, riconosce ai proprietari immobiliari, oltre a un giusto reddito dopo i costi industriali degli edifici, il surplus della “rendita urbana” quale “diritto feudale di proprietà” mentre essa è un surplus dovuto a una concessione pubblica: surplus di cui l’urbanistica pubblica ne pretendeva una parte per destinarla alla qualità urbana, ai servizi per tutta la città.
Questo PdL, se approvato, determinerà una rottura con la “cultura urbanistica” che ha qualificato la nostra realtà per il “governo del territorio”: una “diversità” riconosciuta da tutti rispetto alla “normalità italiana”.
Con ciò la regione farà il salto definitivo nel “territorio della normalità urbanistica italiana” frutto del “lasciar fare” e dello “Stato debole e silente” di fronte agli interessi della rendita immobiliare. Nel recente passato furono gettati ponti per superare quel fossato, ma ci furono forti resistenze. Oggi invece di abbatterli sono usati per giustificare scelte radicali e liquidatorie.
La Giunta Regionale nell’approvare questo PdL ha pensato che questa “nostra cultura” sia superata, che sia un fardello di cui liberarci per omologarci alle logiche della “legge Lupi”, affossata in Parlamento?
Questa nostra “cultura del territorio” fa leva sul ruolo centrale delle istituzioni elettive, dei Comuni. Perché questo “strappo” proprio oggi in cui molte persone, anche tra quelle che lo teorizzavano, si stanno rendendo conto che questo “piano inclinato a favore del privatismo” diventa sempre piú un pericoloso per la democrazia e piú in generale per lo stesso concetto di civiltà?
Queste sono le “questioni di fondo” che generano altre domande, piccole e grandi: eccole.
Partiamo dalla testa: chi ha deciso gli indirizzi che hanno dato il via alla scrittura di questo PdL?
La questione non è secondaria, anzi è fondamentale. Per legge e Statuto il potere di Indirizzo è riconosciuto solo al Consiglio e/o al Presidente della Regione, cioè alle persone elette direttamente dai cittadini, l’assessore non è tra queste.
L’iter doveva perciò iniziare con un dibattito in Assemblea Regionale e concludersi con un documento di indirizzi alla Giunta e poi, su incarico del Presidente, la fase operativa passava all’assessore. Ma così non è stato: lo ha confermato lo stesso ass. Donini in un incontro pubblico affermando che si stava discutendo una “bozza che ancora non era stata vista dalla Giunta”. E allora chi ha dato gli indirizzi e ha definito questo PdL che stravolge l’urbanistica regionale?
Inoltre, nel corso dell’Udienza Conoscitiva promossa dalla Commissione Assembleare è stato reso pubblico che le associazioni imprenditoriali e sindacali avevano piú volte partecipato a incontri e inviato documenti per la stesura del PdL mentre le associazioni ambientali ed energetiche non erano state coinvolte.
E’ quindi evidente che questo PdL è nato fuori dalle sede istituzionali e con logiche lobbistiche private.
Per altre considerazioni su questo “intreccio culturale/affaristico” rinvio a un bell’articolo della prof.ssa Ilaria Agostini, di UNIBO, comparso sul volumetto “Consumo di luogo”, uscito recentemente.
L’Assemblea Legislativa Regionale svolgerà il suo ruolo Legislativo definendo limiti urbanistici e obiettivi di qualità per poi tradurli in legge o accetterà la sua subalternità limitandosi a pochi emendamenti?
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Questo Pdl toglie ai Comuni il ruolo di “governo delle trasformazioni urbanistiche” nel proprio territorio.
Leggere per conoscere:
“… in conformità con il principio di imparzialità e trasparenza … il Comune verifica la rispondenza con l’interesse pubblico delle proposte di “accordo operativo” avanzate dai soggetti interessati”.
Questa logica permea tutto il PdL rompendo con quella dell’Urbanistica Pubblica per cui non sarà piú il Comune a definire le aree su cui costruire, in base ad analisi di tutela e qualità ambientale, di mobilità sostenibile, vicinanza ai servizi, ecc. ma dovrà valutare le proposte dei proprietari di immobili…
“… gli accordi sostituiscono ogni piano urbanistico operativo e attuativo”.
L’art 29 definisce lo stravolgimento: ogni regola oggi esistente per la definizione dei volumi e dell’uso del territorio è cancellata: deciderà un “accordo operativo” senza regole e limiti pre-definiti, “ad libitum”.
“Il Piano Generale Urbanistico comunale NON PUO’ stabilire la capacità edificatoria, anche potenziale, delle aree del territorio urbanizzato né dettagliare gli altri parametri urbanistici ed edilizi degli interventi ammissibili”.
L’art. 32 esplicita, se mai ci fossero dubbi, che il Comune viene espropriato del proprio ruolo di regolatore e proponente ma avrà solo quello di ricevente per valutare un generico “interesse pubblico”: scelta che sarà agevolata da finanziamenti o opere per i Comuni, caso per caso.
E’ evidente che ogni “accordo operativo” partirà in modo del tutto riservato, come ben si intuisce: dove starà mai la trasparenza di cui si scrive?
Questa “contrattazione senza regole” farà pensare a sospettose “logiche di vicinanza” che, per la mancanza di trasparenza e partecipazione, metteranno in discussione lo stesso ruolo istituzionale dei Comuni.
Chiedo ai Consiglieri comunali, eletti dai cittadini per rappresentarli: accettate questa riduzione di ruolo a “comparse” nell’aula che dovrebbe invece vedervi come “decisori”? Chiedo ai Consiglieri regionali: pensate che questo PdL assicuri al “pubblico”, cioè agli eletti dai cittadini, il ruolo istituzionale che la Costituzione Italiana assegna ai rappresentanti del popolo?
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No al Consumo di suolo”: limite del 3% alle opere edilizie fuori dal perimetro urbanizzato.
Ma nel PdL sono piú le opere edilizie escluse dal quel limite di quelle che vi sono inserite. I Comuni avranno tre anni dalla approvazione della legge per recepirla oltre e due anni per applicarla. Il limite del 3% entrerà in vigore dopo 5 anni e tutto quello che sarà approvato secondo i vigenti strumenti urbanistici nel quinquennio sarà oltre il limite del 3%.
Fuori dal 3% saranno anche le aree per strade e infrastrutture, opere pubbliche e “quelle private” che di volta a volta saranno elasticamente definite “di interesse pubblico”, i nuovi edifici industriali o quelli necessari all’attività agricola. Fuori saranno gli “edifici di edilizia pubblica” e quelli “privati” necessari alla loro “copertura finanziaria”. E ancora, saranno fuori dal 3% incentivi e premi volumetrici dati per la rigenerazione urbana, se trasferiti. Ma cosa resta dentro il limite del 3%?
L’Assemblea Legislativa potrà ridurre all’essenziale l’elenco delle opere edilizie escluse dal limite del 3% per le edificazioni fuori dal “perimetro edificato del Comune” ed eliminare i 5 anni di franchigia?
“Rigenerazione della città costruita”: giusta e necessaria per la sicurezza sismica e l’efficienza energetica, ma senza la logica delle “grandi opere”, bensì con quella della tutela, qualità e bellezza.
E’ da anni che le associazioni ambientali ed energetiche chiedono a Comuni e Regione norme adeguate e finanziamenti per l’analisi statico-energetica dei condomini necessaria per definire costi e benefici della messa in sicurezza sismica e del risparmio energetico: l’abbattimento era l’ultima alternativa possibile.
Ma il PdL ribalta tutto: “abbattere, ricostruire e addensare” sono gli obiettivi della “logica del fare” per cui si regalano anche incentivi, premi edificatori e riduzioni degli oneri visto che non si definiscono obiettivi di qualità territoriale da raggiungere e i necessari controlli finali da parte dei Comuni.
Per garantire i loro obiettivi economico/immobiliari questa logica punta alla eliminazione o alla drastica riduzione delle regole di tutela storico ambientale oltre che degli ostacoli anche sociali visto che l’ANCE nazionale chiede una legge che permetta al 50% +1 dei condomini di decidere l’abbattimento dell’edificio.
L’Assemblea Legislativa potrà restituire ai Comuni il potere di definire limiti e regole precise per evitare abbattimento e ricostruzione con addensamento mossi solo da logiche patrimoniali o speculative?
Potrà stabilire che incentivi, i premi edificatori e riduzioni degli oneri saranno utilizzati per ridurre i costi degli immobili a favore dei piccoli proprietari o degli inquilini degli edifici interessati?
Se passa questo PdL l’idea città come bene comune e partecipata sparirà dalle leggi regionali.
La proposta di legge si concentra in modo molto dettagliato sugli interventi urbanistici nella città costruita compreso il cambio delle destinazioni d’uso, anche per quelle con forte attrattività di persone e mezzi.
I cittadini che abitano e lavorano nelle zone interessate secondo le leggi regionali oggi esistenti hanno il diritto di intervenire su fatti che incideranno sull’ambiente e sulla propria qualità di vita. Con questo Pdl questa possibilità verrà cancellata.
Nel testo, furbescamente, si indica anche un “Garante della partecipazione”: qui non si parla di partecipazione ma di “ascolto”: ma come dice la parola stessa, la risposta non è obbligatoria. La partecipazione dei cittadini è altra cosa.
E’ un fatto complesso che va strutturato, organizzato e reso possibile con un tempo pre-definito, utile per avere accesso agli atti, attivare un “Tavolo Partecipativo” a cui con il Comune siederanno i proponenti dell’intervento urbanistico e i rappresentanti dei cittadini per discutere degli obiettivi di qualità territoriali da raggiungere e delle modalità di controllo sulla loro reale attuazione e definire un documento conclusivo da inviare al Consiglio Comunale per le sue autonome determinazioni, così come previsto dalla Legge Regionale sulla Partecipazione approvata nel 2010.
L’Assemblea Regionale potrà cambiare questo PdL per una partecipazione attiva alle trasformazioni urbanistiche per la qualità delle zone in cui vivono per la loro qualità della loro stessa vita?
Ugo Mazza
22 maggio 2017
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