Articolo
Giuliano Gresleri

Una lettera illuminante

Riceviamo questa lettera immediatamente dopo il nostro convegno del 19 novembre scorso. Giuliano Gresleri faceva parte, con il fratello Glauco, del prestigioso gruppo di architetti che collaborarono con Lercaro, come M. Beatrice Bettazzi ha ben rappresentato nel suo articolo sul N. 50, e che fondarono la rivista “Chiesa e Quartiere”.

giuliano-gresleriGentile e cara Dottoressa, le scrivo in modo un po’ confuso durante uno dei miei itinerari tra casa e ospedale che mi preparano a un intervento per dopo le feste che cerco di affrontare col maggior distacco possibile. Per questo ho potuto seguire il convegno su Lercaro solo attraverso i brevi cenni della stampa.

I titoli delle relazioni mi paiono interessanti, ma purtroppo è venuto a mancare il nodo della questione: il rapporto progettuale che il Cardinale aveva con la sua periferia. Periferia che, soprattutto dopo il suo rientro dal concilio nel 1965, egli intendeva rileggere con l’aiuto dell’architetto Kenzo Tange, che voleva incaricare di un progetto per un centro ecumenico dove l’internazionalità e le etnie presenti alla Fiera di Bologna avrebbero potuto incontrarsi pregando, così, assieme.

Quando intendo “atteggiamento progettuale” mi riferisco a quel fare nei confronti del già costruito, che egli voleva modificare introducendo vita collettiva là dove c’era solo individualismo e solitudine. E’ questo il grande tema affrontato da Lercaro durante la lezione magistrale nel 1957 nel Salone dei Duecento a Firenze che ancora oggi resta un testo fondamentale [pubblicata in La chiesa e la città – Milano: edizioni S. Paolo, 1996, ndr].

Entrò subito in dura polemica con il prof. Gutkind, autore allora di un testo famoso chiamato L’ambiente in espansione che teorizzava lo sviluppo dell’ambiente periferico in forma di piccoli agglomerati senza gerarchia, immersi nel verde secondo la tradizione howardiana. Insomma, la periferia era per Lercaro il luogo di tutte le sue emozioni spaziali, un materiale grezzo, casuale e inerte che andava reimpastato e revitalizzato con la presenza di ciò che LC chiamava “le prolongement de l’habitat”.

La sintesi di tutto ciò, la sintesi del suo sguardo che umanizzava le cose osservandole, stava nella realizzazione del progetto per la cripta della cattedrale di San Pietro, a Bologna, che io, mio fratello Glauco, Giorgio Trebbi, Franco Scolozzi e mons. Luciano Gherardi realizzammo perché il Cardinale voleva che fosse la prima manifestazione concreta della sua riforma liturgica: il luogo dove la liturgia si incarna nella comunità, stretta attorno al celebrante.

Lercaro fu per noi, in tale occasione, il vero progettista di questo spazio e in questo spazio egli aveva ORDINATO di essere sepolto come risulta dal bollettino diocesano in cui tale volontà è espressa.
Dopo il suo congedo la cripta restò praticamente un luogo oscuro, passò attraverso due mandati vescovili nel più totale silenzio, finché si poté dare avvio alla sua distruzione. A Lercaro fu così negato anche il luogo della sepoltura chiudendolo in un pilastro di S. Pietro dove una candela, una banchetta e una modesta scultura stanno a indicare che egli è ancora lì, pietra di inciampo, pietra angolare rigettata dai costruttori, ma senza la quale la nostra vita non sarebbe stata quella che è stata, canes fideles, fino a oggi e ancora per il poco tempo che ci rimane.

Della cripta lercariana dove egli voleva riposare accanto all’altare contenente le reliquie dei Ss. Vitale e Agricola (cominciamento della Chiesa bolognese) restano oggi solo fotografie di Scolozzi e le nostre riflessioni. Anche il Cristo Ottoniano sul Calvario, nella forza drammatica di una semplicità primigenia scolpita a colpi d’accetta, ai cui piedi era prevista la pietra tombale del cardinale, è stato fatto volare appeso a un filo, illogico nel suo potenziale ferrigno e nel suo essere peso scaturito dal suolo, alludente ad una sintesi di cominciamento, che dalla cripta si irradiava attraverso una parentela delle opere del cardinale Frings a Colonia in tutto il mondo cattolico di allora.

La ringrazio per quanto ha fatto e l’abbraccio non senza tristezza, pensando che probabilmente lei era una bambina tenuta per mano dal suo papà quando la cripta fu inaugurata

Giuliano Gresleri
Bologna 25/11/2016

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